Le precipitazioni di tartrato di calcio nei vini:stato dell’arte, nuove sfide e possibili soluzioni
· da Antonio Grazietti

Negli ultimi anni abbiamo assistito e stiamo assistendo ad un acuirsi dei problemi legati alla presenza ed alle precipitazioni del calcio nei vini. È certamente utile cercare di comprenderne le cause al fine di individuare quali possano essere le vie per un controllo di questa situazione di rischio.
Il Calcio nei vini
In media il calcio è contenuto nei vini in concentrazioni che vanno dai 25 ai 170 mg/L, valori medi che negli ultimi anni stanno inesorabilmente derivando verso l’alto. La sua concentrazione è condizionata da molteplici fattori:
- Dalla sua disponibilità nel terreno e dal pH dello stesso che lo rende più o meno disponibile;
- Dalle pratiche colturali: determinati trattamenti eseguiti in vigna con prodotti a base di calce tendono inevitabilmente a farne aumentare la presenza nei vini;
- Dalla tipologia di vitigni e cloni e dallo stato sanitario dell’uva alla raccolta;
- Dalla cessione da parte di vasi vinari in cemento di scarsa qualità o non correttamente trattati;
- Da trattamenti di disacidificazione con carbonato di calcio;
- Dall’impiego di bentonite calcica di non ottima qualità;
- Dalle condizioni ambientali.
Un ruolo importante lo gioca al riguardo il riscaldamento climatico a cui stiamo assistendo negli ultimi anni. Semplificando molto, il calcio, che ha importanti funzioni di regolazione osmotica all’interno delle cellule vegetali, viene traslocato con maggiore intensità dalla linfa grezza verso la parte aerea della pianta ove si accumula nei diversi organi, compresi i frutti, in funzione della traspirazione. Le maggiori temperature inducono, fino ad un determinato limite, una maggiore traspirazione ed inevitabilmente un maggior accumulo dell’elemento. A ben guardare questa potrebbe essere la principale causa dell’aumento della concentrazione del calcio riscontrata nei vini nel corso degli ultimi anni. Le maggiori temperature portano poi a squilibri compositivi dei succhi, che risultano meno acidi e con pH decisamente elevati o comunque maggiormente elevati rispetto al passato. Detto fattore implica una differente dissociazione della frazione acida nei vini con aumento della concentrazione di ione tartrato, disponibile alla combinazione e precipitazione con il calcio.
A tal proposito riportiamo le curve di dissociazione dell’acido tartarico in funzione del pH, nel range di pH comuni per il vino, e la tabella che ne calcola le diverse percentuali.
È evidente come la deriva verso l’alto del pH del vino che si sta registrando costantemente negli ultimi decenni porta ad una maggiore concentrazione di tartrato neutro, dando adito alla formazione di maggiori quantità di tartrato calcio, con aumento di rischio di precipitazione del medesimo.
La presenza di questo sale ha quale conseguenza tutta una serie di problematiche legate alla sua scarsa solubilità nel vino, fino a 10 volte inferiore a quella del bitartrato di potassio, legata però ad una estremamente lenta ed erratica cinetica di cristallizzazione, dovuta all’elevata energia di attivazione necessaria alla formazione del nucleo. Contrariamente a quanto accade nel caso delle precipitazioni di bitartrato di potassio, inoltre, il processo di cristallizzazione non viene accelerato dall’esposizione del vino a basse temperature. Tutto ciò fa sì che le tempistiche di precipitazione dei sali di tartrato di calcio non possano essere previste e neppure controllate.
Solitamente si ammette che i vini sono a rischio precipitazione di tartrato di calcio quando le concentrazioni dell’elemento superano i 60 ppm nel caso dei vini rossi e gli 80 ppm nel caso dei vini bianchi, tenendo però conto che il rischio precipitazioni aumenta al crescere del grado alcolico e del pH.
Le possibili soluzioni
Le soluzioni tecnicamente praticabili sono diverse:
E’ sempre possibile pensare al vecchio caro acido metatartarico, che nella sua azione inibitrice dell’accrescimento dei cristalli estende il suo ruolo protettivo anche nei confronti di quelli del calcio: purtroppo però, come ben sappiamo, la sua durata nel tempo è limitata vista la sua inevitabile tendenza alla de-esterificazione che lo porta, dopo un tempo più o meno lungo – in funzione della temperatura di conservazione alla quale è esposto il vino, a risultare inattivo. E’ pertanto ragionevolmente applicabile solamente nei prodotti per i quali è previsto un rapido ciclo di consumo.
Le resine a scambio cationico sono in grado di rimuovere anche il Calcio, riportandone la concentrazione al di sotto della la soglia di rischio. Presentano però un inevitabile impatto anche su altre caratteristiche organolettiche e sull’equilibrio del vino, non sono perciò sempre ritenute la soluzione più interessante.
Un’altra possibilità, in linea di principio simile, è l’applicazione dell’elettrodialisi, anche questa in grado di riportare le concentrazioni di calcio entro valori di sicurezza ma con un impatto non trascurabile dal punto di vista sensoriale e dei costi di gestione.
Una via potenzialmente interessante appare quella di indurre la precipitazione apportando al vino nuclei di cristallizzazione di bitartrato di calcio pre-formati, in modo da bypassare la fase lenta ed aleatoria della nucleazione ed indurre la formazione e successiva precipitazione di cristalli di tartrato di calcio. Questi cristalli, poco solubili sia in acqua che in vino (solubilità in acqua a 20° C pari a 0,53 g/L) precipitano in tempi ed in modi compatibili con una corretta gestione del processo di lavorazione e di preparazione dei vini all’imbottigliamento.
Impiego di acido tartarico racemico
Un’altra via, teoricamente simile alla precedente, si basa invece sull’aggiunta di acido tartarico racemico (acido DL Tartarico), differente dall’acido tartarico naturale del vino che invece è – da un punto di vista chimico – L(+) Tartarico. Questa porta alla formazione di DL tartrato di calcio, che ha una solubilità 15 volte inferiore alla già bassa solubilità del tartrato di calcio sopra menzionato – solubilità in H2O a 20° C pari a 0,035 g/L Questo, in seguito alla precipitazione di piccoli cristalli di forma definita pinacoidale triclina, induce un abbattimento molto efficace del calcio, permettendo di raggiungere livelli estremamente bassi di calcio.
Dobbiamo però puntualizzare che mentre, come giustificato dalla bassa solubilità dei suoi sali, il trattamento con acido DL tartarico è molto efficace in termini quantitativi, risulta meno favorito rispetto al trattamento con microcristalli di tartrato di calcio dal punto di vista della cinetica di cristallizzazione. Detto in altri termini il trattamento al vino con acido tartarico racemico può risultare molto lento con indesiderati strascichi che si prolungano nel tempo. Bisogna dunque mettere in atto una strategia che consenta di eliminare questo aspetto negativo. Questa può essere rappresentata da un’aggiunta molto precoce a mosto, prima o durante la fermentazione alcoolica. I moti convettivi e browniani indotti dalla fermentazione alcoolica, unitamente al maggior tempo di contatto, fanno aumentare gli urti efficaci rendendo il trattamento praticabile ed estremamente efficiente.

Como utilizzare il prodotto?
Il prodotto utilizzato nelle prove è il Ca2+STAB®, Acido tartarico racemico o acido DL tartarico
Per il calcolo della dose di prodotto da utilizzare per fare correttamente il trattamento di deve applicare la formula nell’esempio riportata.
Esempio calcolo:
Concentrazione di calcio iniziale: 150 mg/L.
Concentrazione di calcio desiderata: 60 mg/L.
Dose di Ca2+STAB® da utilizzare = (150 – 60) x 0,4 = 36 g/hL
Come si applica il prodotto:
Disperdere Ca2+STAB® in un volume d’acqua pari a 4-5 volte il suo peso.
Introdurre la sospensione nel mosto ad avvio fermentazione.
La cristallizzazione si completa dopo 4 – 6 settimane.
2 – 3 settimane dopo fine fermentazione è prudenziale eseguire un controllo della concentrazione finale di calcio per verioficare di aver raggiunto correttamente l’obiettivo.
